HANJIN BAKRUPTCY OF THE SHIPPING COMPANY
Il 17 febbraio 2017, a quarant’anni dalla sua fondazione, si chiude la storia della Hanjin Shipping, la compagnia di navigazione sudcoreana che dal 1977 è cresciuta fino a diventare la principale società armatoriale nazionale ed è riuscita ad entrare nella top ten mondiale dei primi vettori marittimi del trasporto containerizzato salendo fino al settimo posto della classifica.
Oggi, infatti, la Corte distrettuale centrale di Seul ha decretato lo stato di fallimento della compagnia che è stata posta in liquidazione e, tribunale ha disposto la nomina del curatore fallimentare che si occuperà della vendita dei rimanenti beni di proprietà della Hanjin Shipping per rifondere i creditori.
A seguito del fallimento della Hanjin , la Hyundai Merchant Marine (HMM) è diventata la prima compagnia di navigazione della Corea del Sud ed ha sottoscritto un contratto di acquisizione (operazione da 13,15 milioni di dollari ) con la stessa Hanjin Shipping e con la Marine Terminals Investment Ltd.
Facciamo un passo nel 2016 e analizziamo i vari passaggi che hanno portato al disastrio della Hanjin.
Il 31 agosto del 2016 la Hanjin ha presentato un’istanza di fallimento in Corea del Sud e negli Stati Uniti ed è stata la prima compagnia coreana del settore e tra le maggiori del mondo, che dal 2011 chiudeva i bilanci in perdita accumulando un debito di oltre 5,5 miliardi di dollari. Nel mese di agosto la quasi totalità della sua flotta (il 70% circa) di 141 navi, pari ad un valore di merci trasportate stimato in 14 miliardi di dollari è stata costretta in mare senza possibilità di attraccaggio.
Il 23 settembre , il governo sudcoreano , ha creato un fondo d’emergenza di 145 milioni di dollari per sbloccare la situazione ed evitare gravi ripercussioni sul commercio globale e sull’economia degli imminenti acquisti natalizi.
Il denaro infatti è stato utilizzato per rimborsare i diversi creditori della compagnia di trasporto come le società di noleggio delle navi (perché solo il 40% della flotta di Hanjin è di proprietà), i porti a cui non sono stati pagati ancoraggio e servizi, terminal, i pedaggi come per esempio il Canale di Suez, le agenzie di reclutamento degli equipaggi, i fornitori di bordo e infine le società di gestione delle navi.
Naturalmente non si sono fatte attendere le opinioni dei protagonisti del settore , tra questi Gerry Wang, che è tra i fondatori della canadese Seaspan e che ha noleggiato tre navi ad Hanjin Shipping, ha appunto paragonato la vicenda al fallimento di Lehman Brothers del 2008, un evento epocale che ha innescato una crisi globale. La richiesta di amministrazione controllata presentata dalla compagnia coreana avrà un impatto non solo sul settore del trasporto marittimo, ma anche sull’intera filiera della logistica e sul settore finanziario, che negli ultimi anni ha investito notevoli risorse nel rinnovamento di navi, di sempre più grandi dimensioni.
L’aumento della capacità delle navi, arrivate a poter ospitare quasi 20.000 container, ha avuto l’obiettivo di razionalizzare le spese e risparmiare carburante, ma avuto l’effetto di provocare un eccesso di stiva, ha ridotto il costo delle spedizioni e ha permesso solo ai player più grandi di reggere la competizione.
La domanda che i molti del settore si sono chiesti è perché la Hanjin Shipping sia stata lasciata fallire, l’ipotesi più probabile, secondo Yi Jung-jae editorialista coreano ( Korean JoongAng Daily ) è stata che l’esito fosse già deciso e cioè che lo stato ha salvato i cantieri navali della Daewoo e ha lasciato fallire la compagnia marittima della Hanjin per poi, probabilmente, farla rilevare dalla Hyundai Merchant Marine.
Il fatto è che tutto il trasporto marittimo è in crisi: nessuno osa dirlo a voce alta, ma potenzialmente il 90 per cento delle compagnie di trasporto marittimo è sull’orlo della bancarotta.
Il punto è che negli ultimi anni l’economia mondiale va a stento, la Cina rallenta, e il traffico merci ha smesso di crescere. Nei primi anni duemila il trasporto marittimo cresceva al doppio del tasso di crescita mondiale; negli ultimi cinque anni invece è cresciuto in linea con la crescita economica (cioè molto poco) e nel 2015 il prodotto interno lordo mondiale è cresciuto più del traffico marittimo. Solo che ormai i trasporti navali sono un’industria gigantesca, cresciuta a dismisura; nel 2015 la flotta totale era quattro volte più numerosa che nel 2000.
Non solo. Il trasporto marittimo (sia dei container, sia il bulk, cioè il trasporto sfuso – di minerali, liquidi, granaglie o altro) è dominato da pochissime grandi compagnie, e la concorrenza lascia sempre meno spazio alle più piccole.
Vince chi riesce a fare economie di scala, a tagliare i costi. Per esempio, costruendo navi sempre più grandi: negli ultimi vent’anni la dimensione media di una portacontainer è cresciuta del 90 per cento. Circolano ancora navi da tre o quattromila container, ma la prima compagnia mondiale di questo settore, la danese Maersk, dal 2013 ha messo in servizio navi capaci di trasportare più di 18mila container (misura standard, 20 piedi: si usa parlare di teu, twenty-foot equivalent unit. Per capirsi, messi in fila farebbero un serpente di 108 chilometri, tutti su un’unica nave). Ora si va verso i 22mila teu.
La tendenza al gigantismo ha avuto la sua logica: le mega-navi sono state messe in cantiere intorno al 2010, quando il prezzo del carburante era molto alto. Grandi navi che viaggiano a velocità ridotta per risparmiare carburante hanno fatto scendere i costi unitari.
Dunque chi ha potuto permetterselo, cioè poche grandi compagnie, ha fatto costruire meganavi. Questo ha fatto crollare il costo delle spedizioni, ma solo poche grandi compagnie si sono potute permettere di tenere i prezzi bassi, con il vantaggio di mandare fuori mercato i piccoli concorrenti. Oggi però questo gigantismo appare sovradimensionato e il commercio non può continuare a crescere in modo così esponenziale.
Ma anche le aziende più solide risentono della crisi. La Maersk, considerata la prima compagnia nel settore dei container, ha saputo gestire così bene questi tempi di recessione che oggi perde “solo” 11 dollari per ogni singolo container trasportato (la Hanjin ne perdeva cento): ma è pur sempre in perdita. Oggi molti occhi sono puntati proprio sulla compagnia danese, per la quale il prossimo mese è atteso l’annuncio di una profonda ristrutturazione.
A ben vedere, anche come condiviso da Gianmauro Sherman Nigretti, la bancarotta della Hanjin potrebbe essere un preludio delle crisi a venire.
Sources : informare.it / repubblica.it / linkiesta.it / ilfattoquotidiano.it / internazionale.it